Non posso dire di sapere davvero cosa passi per la testa del ragazzino che vedo rientrare tutti i giorni dalla scuola media, un po’ stropicciato e stanco, carico di libri e di cose da raccontare, capace di dirmi “ciao, mamma” con un vocino ancora da bambino, ma anche di affrontare i suoi impegni nuovi e la sua dose di responsabilità.
So però che sta sicuramente meglio oggi della scorsa estate, quando l’incertezza per quello che lo aspettava lo teneva sospeso: una volta che si è trovato finalmente di fronte alla realtà della scuola media e che giorno per giorno si è scoperto in grado di affrontarla, per quanto impegnativa, ha riguadagnato serenità e acquistato maggiore fiducia in se stesso.
E so come, in questi mesi, le novità della scuola e di questo passaggio a un’età diversa sono entrate nella quotidianità di entrambi, modificandone ritmi e rituali.
Mi sono abituata, dopo i primi giorni di groppo in gola, ad aspettare in casa il suono del citofono e quel “ciao mamma” squillante, senza più immaginarmi passo a passo tutto il tragitto dalla scuola con gli amici.
Non mi sono ancora completamente rassegnata, invece, alla drastica riduzione delle ore a mia disposizione, con questo ritorno alle due del pomeriggio e il pranzo da preparare.
Però abbiamo scoperto che è proprio un bel momento da goderci insieme questo pranzo: noi due da soli, seduti una di fronte all’altro, in un silenzio che in questa casa è così raro, abbiamo del tempo che una volta non avevamo. Lo guardo ristorarsi dopo la mattinata di lezione e posso ascoltarlo mentre racconta qualche aneddoto sui compagni, commenta il giudizio di un professore o mi riferisce dei compiti per il giorno dopo.
E, in questo pranzo stanco prima del pomeriggio di studio, in questi racconti di solidarietà o comicità più o meno volontaria fra compagni, nelle dinamiche dei rapporti con tanti professori tutti diversi tra loro, mi accorgo di come la scuola di Pietro ormai assomigli proprio alla scuola come me la ricordo io. È lo stesso pensiero che mi ha accompagnato mentre all’inizio dell’anno ho ricoperto tutti quei libri per le stesse materie di allora e anche al primo consiglio di classe, trovandomi di fronte alla folta schiera dei professori, ognuno con il suo fascio di registri blu sottobraccio: la sensazione del ritorno a qualcosa di lontano ma conosciuto per me, della fine dell’infanzia per lui, ma anche della possibilità di condividere qualcosa di nuovo e più adulto fra noi, di un terreno di incontro fatto di ricordi, esperienze e letture da consigliare.
Pietro ha imparato a mettersi sui libri a studiare nel primo pomeriggio, a destreggiarsi fra tante materie e a fare molta attenzione ad avere sempre con sé a scuola l’occorrente. Io mi sono abituata a sentirlo ripetere le lezioni da solo in camera sua, a vederlo di spalle con la testa china sui quaderni e salutarlo per uscire a riprendere i fratelli e portarli ai loro impegni, a rispondere solo a qualche domanda, a chiedergli “come va?”, lasciando che per lo più si organizzi nello studio per conto suo. Soprattutto mi sto abituando a fidarmi di lui.
Lo sento contattare direttamente i suoi amici quando ne ha bisogno e ho sperimentato che mi fa stare più tranquilla, quando torna da scuola o capita che rimanga da solo da qualche parte, sapere che ora ha un suo, semplicissimo, telefonino. Ma ancora non mi sono abituata a leggere il suo nome sullo schermo e, quando di rado mi chiama o mi scrive un messaggio, alla prima occhiata penso che si tratti di Papà in 3D: mi ci vuole sempre un po’ di tempo per realizzare che ormai ho un figlio che mi telefona.
Abbiamo stabilito i nostri punti un po’ defilati in cui incontrarci, quando lo vado a prendere ai suoi corsi pomeridiani o, in occasioni particolari, anche davanti alla scuola: lo aspetto in disparte sull’angolo della strada e, dopo il suono della campanella, osservo il brulichio dei ragazzi che si allontanano e, no, non mi sono ancora abituata al fatto che, da una scuola che dura solo tre anni, esca il mio ragazzino che fino a ieri era un bambino ed escano altri che sono già degli uomini e delle donne. Mi sto ancora abituando e siamo solo all’inizio della trasformazione.
A chi lo dici! 3 anni in cui si staccano dalla mamma, e non lo fanno sempre con dolcezza ma è giusto così, e in cui il mondo intorno diventa sempre più interessante di quello confortevole della famiglia, ed è giusto così.
È giusto così, e me lo aspetto. Quello che colpisce è che questo distacco si prepari in un periodo in cui in realtà condividiamo molto e trascorriamo tanto tempo insieme.
Io ancora non mi abituo alla scuola primaria, figuriamoci quando Gugo sarà alle medie…
Arriveranno anche le medie… e avrai molto meno tempo per abituarti o arrenderti: durano un soffio e bisogna già pensare al liceo! 😉
my preferred! lo abbracci da parte mia (se te lo lascia fare, ovviamente)
Grazie, Clara! Sì, ce la facciamo ancora 🙂
….questo post mi ha commosso…è tutto quello che sto vivendo anch’io !!
Ciao Paola, grazie di esserti fermata a dirmelo. È bello per me che il blog possa ancora funzionare per condividere semplicemente le emozioni del momento.
E’ uno dei tuoi post che preferisco questo, e lo ved Pietro mentre cammina lento sotto il sole per venire a casa….
Grazie, Vale. Un bacio