Non ci sono parole.
Rimangono solo la paura e l’impotenza di fronte alla devastazione e al dolore.
Però ci sono i bambini e allora bisogna trovare qualcosa da dire.
Non ci sono parole.
Rimangono solo la paura e l’impotenza di fronte alla devastazione e al dolore.
Però ci sono i bambini e allora bisogna trovare qualcosa da dire.
Leggere questo post di My mi ha fatto pensare alla grande quantità di emozioni e soprattutto alla tempesta di commenti altrui che mi hanno investita quando ho scoperto il sesso dei miei tre bambini.
Proprio non sono capace di avere dei segreti con Papà in 3D.
Così il brivido della mia identità sconosciuta nella blogosfera è durato all’incirca mezza giornata: il tempo di scegliere nickname e titolo del blog, e poi già gli ho raccontato tutto e lui, non so bene se divertito o incuriosito, non mi sembra infastidito nè critico, mi ha fatto persino da consulente d’immagine nella personalizzazione del template, destreggiandosi con pazienza fra impercettibili variazioni di toni di viola, di caratteri, stili e dimensioni.
Meno male che c’è Skype: abbiamo uno Zio, il mio fratellino, che vive in California, uno scienziato in erba, o cervello in fuga, come si dice adesso.
Un moderno Zio d’America, che i bambini hanno imparato a vedere quasi ogni settimana nello schermo del computer, davanti al quale con naturalezza si esibiscono e dal quale lo Zio li osserva intenerito con in braccio il suo cagnolino che i nipotini vezzeggiano da questa parte dell’Oceano come se potessero accarezzarlo.
La giornata ha il suo solito avvio difficile: sonnolenza da inizio primavera, resistenza di Bimbo Grande ad alzarsi dal letto e prepararsi per andare a scuola, capriccio incomprensibile di Bimbo Grandicello per una calzina antiscivolo storta (!), e poi l’abituale frenesia per essere pronti tutti, all’ora giusta, per uscire… e prepara le colazioni, e vesti 1 e vesti 2, e stendi il primo bucato quotidiano, e fai i letti, e accorda il permesso di portare il giochino di casa all’asilo (uno no perché è troppo grande, l’altro neanche perché se si perde è un dramma, finalmente, dopo estenuante trattativa, ecco quello giusto), e vesti te, e magari mettiti qualcosa in faccia per renderti presentabile, e poi (atto assolutamente contro natura) sveglia la Piccolina che ancora dorme profondamente per ingollarle giù il biberon di latte, infagottarla nei vestiti e trascinarla fuori ad accompagnare il fratello all’asilo.
E, come tutte le mattine, ti domandi come, ma ce la fai: Bimbo Grande e Papà in 3D escono puntuali per scuola e ufficio (fuori 1), Bimbo Grandicello arriva appena in tempo all’asilo e viene depositato con pantofoline e bacino di commiato (e fuori 2).
Sensazione di sollievo: sei sveglia da tre ore e tiri il primo respiro profondo.
Da “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery:
Io ho capito molto presto che la vita passa in un baleno guardando gli adulti intorno a me, sempre di fretta, stressati dalle scadenze, così avidi dell’oggi per non pensare al domani…
In realtà temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea.
Quindi non bisogna affatto dimenticare. Occorre vivere con la certezza che invecchieremo e che non sarà né bello né piacevole né allegro. E ripetersi che ciò che conta è adesso: costruire, ora, qualcosa, a ogni costo, con tutte le nostre forze.
Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita.
Dedicato, in una domenica malinconica, a chi si sente un po’ così.