Dieci anni fa trascorrevo la mia prima estate in questa cittadina della Liguria, arrivando qui col mio insonne e irrequieto primogenito di 17 giorni.
Da allora, ogni anno stessa spiaggia e stessa cittadina ligure, con la famiglia che si è allargata e complicata sempre di più, la mia percezione dell’estate è sempre stata quella di un periodo intensissimo e faticoso fisicamente, tra sabbia, caldo, docce, carico di giochi e attenzione da mantenere sempre al massimo per tenere d’occhio i tre tutto il giorno in spiaggia.
Un’estate inaspettatamente leggera
Le difettose – Volere un figlio a tutti i costi può dare dipendenza?
Ho letto “Le difettose” di Eleonora Mazzoni, Einaudi.
Di storie come quella di Carla, storia di infertilità, di “fecondazioni artificiali fallite, aborti naturali riusciti, più una serie di micro sconfitte mensili”, ne ho sentite raccontare tante e forse tante altre ne avrei ascoltate se talvolta non avessi deciso di rinunciare ad una telefonata, ad una domanda in più, quando, negli anni in cui per me si succedevano pancioni, parti e allattamenti, con qualche amica mi è capitato di avere pudore a mostrare la mia felicità, di scegliere di farmi da parte aspettando le confidenze con discrezione, rendendomi conto che anche un mio banale “e tu come stai?” spesso rischiasse di suonare come un indelicato “e tu? figli niente?”, come se la mia immagine di maternità appagata, involontariamente sfacciata, potesse far bruciare ancor di più una ferita già tanto dolorosa.
Prima di avere figli, già quando ero molto giovane, in me qualche volta si è affacciata la domanda: “e se succedesse a me? se non riuscissi a rimanere incinta, cosa farei? fin dove avrei il coraggio di tentare? dove deciderei di fermarmi?”, perché, conoscendomi, mi ha sempre spaventata l’idea che una serie di illusioni, fallimenti e frustrazioni potessero farmi entrare in un circolo vizioso di ostinazione e pensieri ossessivi, insinuarsi nell’intimità della nostra coppia, togliere spazio ad ogni altra occasione di felicità.
Social Day per tutta la famiglia
Ormai i miei figli mescolano con disinvoltura nomi e nickname di tutta la compagnia e ricordano meglio di me età e nomi dei figli delle altre blogger. Dal Quanta Village sono rimasti incantati a settembre, quando vi hanno trascorso una calda giornata di gioco e libertà, in giro per i campi sportivi dietro agli animatori.
Quindi, anche mettendo da parte tutte le chiacchiere che conto di fare con le amiche durante la giornata e i volti nuovi che spero di vedere, lo faccio per i bambini…
Cosa è di interesse pubblico se non l’ecologia?
Fra le cose migliori che mi sono accadute in questo blog ci sono stati gli incontri con tante persone, alcune delle quali ora posso davvero chiamare amici.
Angela scriveva di “Una vita normale” e in una casa colorata, calda e curata, con un bel cortile dove i nostri figli hanno giocato per una giornata intera, ci ha accolti a San Lazzaro di Savena quasi due anni fa.
In realtà già allora Angela e Lorenzo avevano scelto di lasciare quella loro prima casa perché, come solo in alcune vite normali si ha il coraggio di fare, volevano realizzare un loro grande sogno: costruire una casa ecologica in legno, completamente autonoma dal punto di vista energetico, di classe A+, sul modello di quelle che Lorenzo, geometra, sapeva essere da anni utilizzate con successo all’estero. Brillavano loro gli occhi quando ci raccontavano dell’avventura in cui avevano deciso di lanciarsi, forti dei loro ideali di rispetto per l’ambiente ma consapevoli di tutti i passaggi che avrebbero dovuto superare per iniziare a ristrutturare integralmente l’immobile che stavano acquistando.
Per mesi ho condiviso chiacchierando con Angela l’emozione, le fantasie e le scelte di una donna che progetta la sua nuova casa. Lorenzo invece informava tutti noi amici, con competenze tecniche professionali ed entusiasmo da pioniere, dell’avanzamento dei lavori: dalla demolizione della vecchia costruzione in muratura, alla posa delle fondamenta, fino ad arrivare alla documentazione fotografica delle due (due!) giornate lavorative in cui la nuova casa in legno è stata assemblata.
Girare a vuoto, partire, tornare a scrivere
Il sogno sostanzialmente è sempre lo stesso, ricorrente fin da quando ero al liceo: allora uscivo di casa per andare a scuola dove mi aspettava un impegno importante, ma poi succedevano talmente tante cose, una più inverosimile dell’altra, e incontravo talmente tanta gente, e il tempo passava, e l’angoscia cresceva, perché sapevo di essere sempre più in ritardo… ma niente: non sono mai riuscita ad arrivare in classe prima di svegliarmi.
Poi, terminati gli studi, la mia mente ha scelto di farmi passare nottate agitate alle prese con l’organizzazione di cene pantagrueliche, i cui preparativi vengono immancabilmente interrotti da imprevisti a ripetizione, tanto che di solito, nonostante i miei sforzi di tornare a concentrarmi sulla tabella di marcia, l’arrivo degli ospiti mi coglie ancora con la spesa da fare…
Un po’ di miniclub
Non credevo di essermelo dimenticata, invece mi ha sorpreso quasi come fosse una novità l’ascoltare due quattrenni giocare qui in casa.
La Piccolina ha inaugurato, finalmente in prima persona, la stagione degli inviti alle amichette e così sono tornata indietro nel tempo. Relegati i fratelli maggiori al ruolo di divertiti spettatori, per un paio d’ore hanno comandato due piccole donne, tra bambole, cucina, pennarelli e approcci alla danza.