Chi mi incontra quotidianamente davanti al portone della scuola con la Piccolina per mano e mi vede camminare lentamente, assecondando con pazienza i suoi passetti brevi e riconsiderando i tempi e le distanze nel rispetto delle sue capacità, mi ha chiesto scherzando se per caso questo articolo comparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera fosse stato scritto da me sotto mentite spoglie.
Ritorno all’asilo
Il primo giorno di asilo quest’anno mi si presentava con il sapore rassicurante del ritorno in un luogo noto, che mi ha vista mamma emozionata alla prima esperienza, poi appesantita dalla terza pancia che mi ha fatto compagnia per il secondo anno, quindi trafelata e sempre carica di bambini da accompagnare e tenere in braccio o per mano, ma sempre serena per quella bella sensazione di lasciare prima il Bimbo Grande e poi il Bimbo Grandicello nelle mani di due educatrici professionalmente ed umanamente eccezionali, alle quali ormai per il quinto anno affido ogni mattina i miei figli senza quasi nemmeno percepire il distacco, tanta è la fiducia.
Ieri mattina, però, l’arrivo alla spicciolata dei più di 200 bambini tra scuola dell’infanzia e sezione primavera, cresciuti, abbronzati e un po’ straniti dalle lunghe vacanze, è stato accolto da un atrio stranamente silenzioso, dallo sguardo quasi stralunato delle maestre, dall’atteggiamento disorientato delle commesse.
In un grande cortile
In questa stagione, il cortile di una vecchia scuola milanese si apre una domenica mattina per ospitare bambini e genitori all’arrivo della marcia per le vie del quartiere.
Anni fa c’erano due bambini, fra i tanti, che non si conoscevano, con classi e amici diversi, ma che percorrevano, trascinati dal gruppo, quelle stesse strade e poi giungevano in quel grande cortile, stanchi e soddisfatti, un po’ smarriti nella folla.
Poi quei due bambini, da ragazzi, si sono incontrati e, in altri cortili, hanno imparato a volersi bene ed hanno fatto progetti, in quell’età in cui di certi ricordi si ha pudore e in cui si pensa che la libertà debba portare lontano dai luoghi e dalle emozioni dell’infanzia.
What’s Ape?
Ape, Ape, Ape!
Questo era il contenuto di una delle mail scambiate fra le mamme della classe di mio figlio.
A leggere Ape, la prima cosa a cui ho pensato è stata quella che mi ha punto l’estate scorsa.
Ma non si trattava della segnalazione di un’emergenza ambientale, bensì della proposta per il nostro ritrovo primaverile: Ape come aperitivo.
Sarà che non ho mai chiamato la maturità Matura, il supermercato Super, il biberon Bibe… ma questo gergo da Milano da bere proprio me l’ero perso!
Cosa si indossa a un Ape? Ho solo jeans, magliette e ballerine.
Cosa si ordina a un Ape? Se bevo qualcosa di alcolico mi addormento, esiste ancora il succo di pomodoro?
Cosa ci faccio io ad un Ape?
Non è una città per bambini
Milano funziona, Milano corre, Milano ospiterà l’Expo.
Milano si ricopre di neve e non chiude le scuole, ma si blocca completamente.
Milano vive la sua Design Week (non più solo Salone del Mobile, per carità) e così, se ti capita di abitare in una zona che si è scoperta inaspettatamente di tendenza, ti ritrovi assediata dalla folla, fatichi letteralmente a raggiungere (a piedi, come sempre) casa tua e le scuole dei bambini, vedi i parchi trasformati in bivacco dei visitatori, sei costretta a sentire per tutto il pomeriggio e fino a mezzanotte la musica e le voci delle radio che trasmettono in strada e che ti entrano in casa, nonostante il piano alto e le finestre chiuse, sei impossibilitata a lasciare la città nel weekend perché neppure ai residenti sarà consentito muovere le auto.
Ma Milano palpita, Milano festeggia, Milano dà sfoggio di sé.