Sono stata bambina dalla pelle chiara e sensibile, quando ancora non era di moda parlare di fototipo né cospargersi di elevate protezioni solari: mi ci voleva almeno una settimana per abbandonare l’ombrellone e la maglietta e dimenticare il prurito dell’eritema.
Sono stata adolescente negli anni dei lettini UVA e delle prime creme autoabbronzanti, che diffondevano coloriti aranciati in tutti i mesi dell’anno, mentre io passavo dal bianco lunare al rossore, che fosse per il sole o per il freddo.
Durante le prime vacanze in compagnia, in alta montagna o in calette sul mare tutte sole e salsedine, mentre i miei amici sperimentavano ogni genere di olio da frittura o si coprivano il viso di neve per accelerare l‘abbronzatura, io mi difendevo come potevo con fattori di protezione che assumevano numeri sempre più elevati e, fortunatamente, consistenze sempre meno simili al cemento, pur di sostenere senza troppi danni e fastidiose scottature i ritmi delle vacanze da ggiovani, selvagge e sotto la canicola.
Con le responsabilità della maternità, lo spostamento delle priorità estive dal culto dell’abbronzatura all’accudimento dei bambini, l’abitudine al lungo soggiorno al mare in Liguria, a latitudine non tropicale e con il conforto di comodità da spiaggia attrezzata come l’ombrellone e la doccia di acqua dolce, ho imparato un po’ di cose concrete per una serena convivenza con questo mio fantomatico fototipo 2: